GIUDICARE

di Lorenzo Parolin[L8/833]

 

Per giudicare correttamente occorrerebbe avere a disposizione la totalità delle informazioni ed avere inoltre la capacità intellettiva di gestirle tutte in contemporanea. Giudicare è dunque un’operazione che spetta solo a Dio; solo lui ha la competenza per farlo.
Ciò che rende inaffidabili le persone è quello che non sanno, e poiché ciò che non sanno è quasi tutto, dovrebbero stare calme, evitare di sparare sentenze e chiedere umilmente aiuto a chi le cose le sa.
Date le premesse, quando un uomo si permette di giudicare un suo fratello significa che è fuori di sé o che qualcosa/qualcuno gli ha annebbiato la vista. Questa destabilizzazione gli consente di sentirsi nel giusto, di sentirsi superiore agli altri, di sentirsi un divo, di arroccarsi in sé stesso e di diventare un “ego” ingombrante.
L’operazione di mettersi in proprio chiudendosi a riccio, sarà stato un progresso per lui?
A prima vista sì, perché si è distinto dalla massa ed è diventato padrone di sé stesso, libero di fare come gli pare; ma a fine mese, avrà guadagnato di più di quando era dipendente della Natura?
Purtroppo no. Avendo trasformato in bottiglia da profumo (con il collo stretto , esito dell’arrocco) il largo recipiente con cui le persone normali raccolgono tutta la vita, l’amore, la luce, la pace, la bellezza, la felicità che la Natura fa piovere in abbondanza su tutti gli esseri, non avrà più alcuna disponibilità ad essere riempito dalla Grazia e men che meno di ricevere qualcosa dai suoi fratelli. Si è distinto, ma a suo danno. Voler giudicare è dunque un’operazione pericolosa. Chi giudica si autoesclude dalla Vita e si candida a soffrire la Sete , pur essendo esposto alla pioggia benefica. È vero infatti quanto disse il Dottore Angelico: “Quidquid recipitur ad modum recipientis recipitur” ossia, quanto viene recepito è proporzionale alla capacità di (disponibilità a) recepire.
Colui che giudica e che programma di testa sua, dunque, non ha fede in Dio, anche se afferma di essere un credente, altrimenti si guarderebbe bene dal sedersi al Suo posto. Quando uno giudica lo fa per vanità, per avidità, per leggerezza, per invidia, per interesse, per ambizione, per avere potere, per esercitare dominio, per eliminare un concorrente o un nemico, perciò lo fa per debolezza; se fosse forte si asterrebbe dal farlo.
Debolezza si è detto, ma derivante da che cosa?
I cristiani lo sanno bene: è dovuta alla tara originaria e all’influsso di forze preternaturali (demoniache) che, usando l’inganno, fanno credere agli attori ciechi, incoscienti e debilitati di essere dei campioni, degli eroi, dei combattenti contro il male e degli sradicatori dell’ingiustizia.
In realtà a noi non è chiesto di combattere il male, di colpire chi non ama o di togliere la pagliuzza dall’occhio dell’altro, ma di fare il bene e di guardare alla trave che sta nel nostro occhio.


Se non si può fare a meno di giudicare, lo si faccia con i piedi di piombo.

 

[rif. www.lorenzoparolin.it L8/833]